Benvenuto in Val di Noto
Trova il tuo alloggio
Offerte da non perdere
Alloggi a tema
Weekend in Val di Noto
App tourist card
Guida e informazioni

Itinerari naturalistici

Da Morghella a Capo Passero, Isola di Capo Passero
Da Morghella a Capo Passero, Isola di Capo Passero

#1

Dalla spiaggia di Morghella all'isola di Capo Passero

  • Saline di Morghella: Punto di sosta obbligata per gli amanti del bird-watching e della fotografia naturalistica.
  • Morghella: Località apprezzata dai turisti per la sabbia dorata e la limpidezza delle acque.
  • Isola di Capo Passero: Il più grande isolotto del sud est siciliano.

Per maggiori informazioni visita naturasicula.it

Partendo da Marzamemi e percorrendo la strada costiera (SP84) che collega il borgo a Portopalo di Capo Passero, dopo circa 4 km, nel punto di incrocio con la SP97, si trovano delle grandi vasche rettangolari, le antiche saline di Morghella (36°42’13.25”; 15°07’12.45”). Furono delimitate in quello che originariamente era un pantano, una depressione naturale del terreno. Le saline-pantano, dismesse intorno alla metà del secolo scorso, sono oggi un richiamo per molti uccelli acquatici, gli stessi che sostano a Vendicari o ai pantani vicini. Esse rappresentano un punto di sosta obbligata per gli amanti del bird-watching e della fotografia naturalistica, sicché fanno parte della istituenda riserva naturale regionale “Pantani della Sicilia sud orientale”. Dalle saline, scendendo verso il mare, si arriva alla meravigliosa spiaggia di Morghella, molto apprezzata dai turisti per la sabbia dorata e la limpidezza delle acque.
Siamo a soli 2,5 km di distanza dall’isola di Capo Passero. Quest’ultima, vista da lontano, sembra una zattera di 35 ettari con una sorta di castello sul punto più alto. È il più grande isolotto del sud est siciliano. Nei mesi estivi è facilmente raggiungibile grazie a un servizio privato di battellaggio che preleva i visitatori a Scalo Mandrie, accanto alla Madonnina Stella Maris (36°41’11.63”; 15°88’15.85”). Giunti all’isola, si scende alla Balata, l’unico approdo possibile.
Attaccata alla terraferma fino al 1700, l’isola appare come una grande piastra calcarea poggiata su un basamento di vulcaniti. Le rocce più antiche affiorano lungo la costa tra la balata e la fortezza, e sono lave sottomarine di circa 84-71 milioni di anni. Numerosa e straordinaria è la presenza, nella scogliera calcarea, di rudiste fossili. Si tratta di molluschi bivalvi dalla conchiglia irregolare, che si estinsero alla fine del Cretaceo.
A tutt’oggi il patrimonio naturale si è ben conservato a causa della scarsa antropizzazione rappresentata solo dalla fortezza spagnola, dagli edifici della tonnara e dalle due cave di pietra poste lungo la costa settentrionale. Per tale motivo è previsto che l’isola diventi riserva naturale regionale, e la sua superficie è iscritta nella Rete Natura 2000 come Zona Speciale di Conservazione (ZSC).
Pur non essendoci acqua dolce e trovandosi in un’area tra le più aride della Sicilia, l’isola di Capo Passero ha un patrimonio botanico degno di nota: 269 specie di piante vascolari, di cui 149 annuali, alcune endemiche della costa iblea, come il Limonio di Siracusa, e altre rare, come la Cicoria spinosa, distribuita solo nella Sicilia orientale. La protagonista indiscussa della flora è la Palma nana, che occupa, insieme allo Spinaporci e al Lentisco, la parte centrale dell’isola. Nella parte meridionale si alzano le dune sabbiose in cui si osservano specie psammofile (che vivono sulla sabbia) come la Gramigna delle spiagge e il Giglio marino.
In relazione alla fauna vertebrata, la classe degli uccelli è la più ricca, segue quella dei rettili. L’isola è frequentata da numerose specie di uccelli migratori non acquatici che usano l’area per il foraggiamento, la sosta o lo svernamento. Tra i rettili è sicura la presenza della Lucertola, del Geco comune e del Biacco. Il Coniglio selvatico è l’unico mammifero presente.
Gli edifici della vecchia tonnara (Varcarizzu) si trovano alla Balata (dove approdano le barche) e furono fatti costruire alla fine del 1700 da don Corradino Nicolaci, Principe di Villadorata e gabelloto della tonnara. Erano adibiti al ricovero delle barche, a officine dei calafati e a casa del custode. Dalla balata comincia un sentiero che conduce alla fortezza seicentesca, fatta costruire dal governo spagnolo per difendersi dalle continue scorrerie di pirati e corsari. Il Forte di Capo Passero ha pianta quadrata e si sviluppa su due livelli per un’altezza di circa 15 metri. L’accesso era garantito da una lunga scala a elle che terminava un paio di metri prima del portale di ingresso. Il collegamento era possibile attraverso un ponte levatoio le cui catene o assi di legno che sorreggevano la passerella si impostavano nei due lunghi tagli murari ai lati dello stemma posto sopra il portale.
L’interno della fortezza presenta una corte centrale quadrata. Al centro, la cisterna, per raccogliere l’acqua piovana proveniente dalla terrazza per mezzo di grondaie in terracotta. Attorno alla corte, sia al primo che al secondo livello, ci sono una serie di stanze, spesso comunicanti tra loro. Al primo livello si trovano anche la Cappella dell’Annunziata e la sacrestia.
Il Forte mantenne la sua funzione difensiva fino al 1830. In quell’anno i francesi conquistarono Algeri e sconfissero definitivamente i pirati e i corsari che per molti secoli avevano seminato il terrore nel Mediterraneo. Dal quel momento il Forte di Capo Passero venne abbandonato, ma ritornò a essere abitato nel 1871, quando fu collocato un faro che imponeva la presenza di personale della Marina militare per provvedere all’accensione notturna. Tutto questo si mantenne fino alla fine degli anni 50 del Novecento, quando il faro fu completamente automatizzato. Da allora l’isola è disabitata.

Scopri gli itinerari cicloturistici

Com'è il tempo oggi in Val di Noto?

Itinerario naturalistico, riserva di Vendicari
Itinerario naturalistico, riserva di Vendicari

#2

La riserva di Vendicari

  • Vendicari: Inizia il tuo viaggio a Vendicari, famosa per la sua riserva naturale e l’antica tonnara.
  • I tre pantani: Zone umide che agevolavo la sosta e la nidificazione a oltre 250 specie di uccelli.
  • La torre: Fu costruita per difendere il porto caricatoio dalle incursioni dei pirati.
  • Le spiagge: Una delle più famose è la spiaggia di Calamosche.

Per maggiori informazioni visita naturasicula.it

La riserva di Vendicari è una delle meraviglie naturali della Sicilia orientale, tappa obbligatoria in tutte le stagioni per chi esplora il sud est siciliano. L’oasi è una delle prime riserve naturali sorte in Sicilia (era il 1984), al fine di consentire la sosta e la nidificazione della fauna e il restauro della vegetazione psammoalofila e mediterranea, e la salvaguardia del sistema dunale. Naturalisticamente è un albergo di uccelli, ma anche un luogo ricco di storia, in cui si respira un’aria carica di salsedine e in cui è possibile immaginare le voci di salinari, contadini, tonnaroti, cavatori intenti a lavorare. L’oasi è un luogo che fa emozionare. E come tutto ciò che fa emozionare, fa anche crescere interiormente. Rocce, sabbia, flora e fauna, con le loro peculiarità, tramandano, nel suo più naturale equilibrio, un ambiente naturale che altrove è stato distrutto o irrimediabilmente alterato dall’azione dell’uomo.
La riserva ricade in territorio di Noto, e protegge 8 km di costa miracolosamente sottratta al cemento e a tante altre speculazioni. Siamo lungo il 36° parallelo, latitudine più a sud di Tunisi. La gestione della riserva è affidata alla ex Azienda foreste demaniali della Regione Siciliana, oggi Dipartimento regionale per lo Sviluppo Rurale e Territoriale.
All’interno della riserva ricadono tre pantani, ovvero tre depressioni ricche di acqua salmastra. Sono il Pantano Piccolo, il Pantano Grande e il Pantano di Vendicari (o Pantano Roveto), importantissime zone umide che agevolavo la sosta e la nidificazione a oltre 250 specie di uccelli, tra cui gli eleganti Fenicotteri rosa.
Vendicari possiede cinque ingressi. Quello principale (36°48’18.63”; 15°05’30.76”) porta ai pantani, alla spiaggia, alla torre, alla tonnara, alle dune, all’antico porto, ai capanni di osservazione. Un altro ingresso è quello della famosa spiaggia di Calamosche (36°49’07.30”; 15°05’50.91”).
La Torre sembra esca direttamente dal mare. È così bassa che è stato necessario proteggerla dalle mareggiate con i massi frangiflutto. In verità si è abbassata a causa del bradisismo. Fu costruita per difendere il porto caricatoio dalle incursioni dei pirati. Da questo porto infatti veniva imbarcato tutto il grano, l’orzo e i legumi coltivati nelle pianure di Noto. La torre comunicava visivamente con la Fortezza di Capo Passero a sud, il Castello di Noto antica a ovest, e la Torre Stampace a nord. L’accesso avveniva per mezzo di un ponte levatoio che adduceva a una porta posta a quasi 5 m di altezza. Sopra di essa sono visibili le aperture per la manovra dei bolzoni del ponte levatoio.
Gli edifici che precedono la torre sono quelli della tonnara di Vendicari. La testimonianza più antica della tonnara risale al Seicento ma gli edifici presenti furono ricostruiti nei primi del Novecento. L’area della loggia, dove venivano appesi e dissanguati i tonni prima della cottura, ha l’aria di un luogo sacro, un luogo di preghiera a cielo aperto. Per la conservazione del prodotto utilizzavano il sale che coltivavano nella vicina salina. Tra il 1940 e il 1943, a causa della seconda guerra mondiale, la tonnara divenne meno pescosa e spesso fu abbandonata per mesi perché troppo esposta ai bombardamenti. Dopo lo sbarco alleato (9-10 luglio 1943) la tonnara venne abbandonata e saccheggiata. Nel 1944 i proprietari la affidarono temporaneamente a un altro soggetto che, a seguito di un magro bottino di appena 60-70 tonni, non volle più ripetere l’esperienza. Da allora la tonnara fu definitivamente chiusa. Recentemente è stata oggetto di un intervento di restauro conservativo che consente di ammirarla in tutto il suo splendore.
D’estate l’attenzione dei visitatori viene catturata spesso da un piccolo gabbiano bianco dal cappuccio nero che, dopo un breve volo stazionario, si lancia in picchiata nell’acqua dei pantani o del mare per catturare qualche pesciolino. È il Fraticello (Sterna albifrons), specie migratrice e parzialmente nidificante in Sicilia. Dal 1989 a Vendicari si riproducono 30-40 coppie, ormai cresciute a 50-80. Si tratta della colonia più grande conosciuta in Sicilia.

Itinerario naturalistico, Noto antica porta della montagna
Itinerario naturalistico, Noto antica porta della montagna

#3

Noto antica e Cava Carosello

  • Noto antica: Area archeologica e sito naturalistico estremamente importante.
  • Tombe preistoriche: Testimonianza più antica della città risalente all’età del ferro.
  • Cava Carosello: Era la zona industriale della città con le famose concerie.

Per maggiori informazioni visita naturasicula.it

La città di Noto, famosa per le architetture barocche, si trova nel sito attuale da soli 3 secoli. Per 2000 anni, finché il terremoto del 1693 non la distrusse, era ubicata a 12 km di distanza, sul monte Alveria. Oggi l’antico sito è un’area archeologica estremamente importante, complementare a quello barocco, ma è anche un sito naturalistico di grande pregio perché circondato da tre meravigliose valli. Nella Noto antica si trovano ancora le mura che cingevano l’abitato, il castello normanno, i resti di molte chiese, conventi, palazzi nobiliari, umili case ma anche strutture greche come gli Heroa e il Ginnasio.
Duecento metri prima di giungere, la prima cosa che balza all’attenzione del visitatore è la presenza di tanti fori quadrangolari sulle pareti calcaree della valle. Sono tombe preistoriche, la testimonianza più antica della città risalente all’età del ferro, ovvero a prima che venisse fondata Siracusa dai greci.
Al sito archeologico si accede dalla porta nord denominata Porta della Montagna (36°56’47.61”; 15°01?23.14”), dove si scorgono ancora le feritoie per grossi pezzi di artiglieria e per gli archibugi. Il fossato sottostante, oggi parzialmente riempito, costringeva all’uso del ponte levatoio. Da qui comincia un sentiero che, tra andata e ritorno, fa percorrere 8 km circa con 150 m di dislivello. Un sentiero particolarmente coinvolgente per la varietà dei punti di interesse. Varcata la Porta della Montagna, si trovano i monumenti più importanti. Su tutti domina il Castello normanno, con la torre maestra, le prigioni, la chiesetta. Tra le macerie crescono spontaneamente numerose piante di Sommacco siciliano, residuo di antiche coltivazioni utili a ottenere la polvere di tannino che usavano nelle concerie. Giunti a piazza Maggiore, è possibile scendere alla valle occidentale denominata Cava Carosello (36°56’20.01”; 15°01?13.53”). Non è una riserva naturale, ma è come se lo fosse. Si tratta di un demanio forestale e di una Zona Speciale di Conservazione della Rete Natura 2000. Falco pellegrino, Colubro leopardino, Testuggine e Garofano rupicolo sono le specie animali e vegetali specificatamente protette dalla ZSC ai sensi delle Direttive comunitarie del 1979 e 1992.
La Cava Carosello era la zona industriale della città. Tra gli opifici prevalevano le concerie, tant’è che la valle era l’industria conciaria più vasta di tutto il Val di Noto, molto più di Vizzini. Le concerie, frutto dell’architettura in negativo, cioè ricavate scavando il tenero calcare, sono nel fondovalle. Alcune sono visitabili. Funzionavano grazie alle limpide acque del fiume Asinaro. Le pelli ottenute venivano trasportate fino al caricatoio di Vendicari per prendere la via del mare.
Benchè la portata del fiume si sia notevolmente ridotta, essa è in grado di alimentare una serie di laghetti in cui è possibile, nei mesi caldi, fare un bagno refrigerante e tonificante, in alcuni casi all’ombra di salici e pioppi.
Nella piccola cava di S. Calogero, alla destra idrografica del fiume Asinaro, la roccia scavata ha fatto ottenere un luogo di culto, la chiesa rupestre di S. Giuliano, presumibilmente di fine Medioevo, in cui sono ancora riconoscibili un affresco, due altari, la sagrestia, il subsellium.

Cava Ispica, Baravitalla, tomba a finti pilastri
Cava Ispica, Baravitalla, tomba a finti pilastri

#4

Cava Ispica

  • La cava: È lunga circa 13 km ed è la più lunga valle iblea.
  • Villaggi preistorici: Nella cava sono presenti diversi villaggi preistorici, con relative necropoli, dell’antica età del bronzo e dell’età tardo romana.
  • Castello di Ispica: Complesso abitativo rupestre su 5 livelli sovrapposti.

Per maggiori informazioni visita naturasicula.it

La valle deve la sua notorietà ai viaggiatori stranieri che la visitarono e si lasciarono affascinare dal suo patrimonio naturale e archeologico (Jean Hoüel la visitò nel 1777). Zona Speciale di Conservazione della Rete Natura 2000, la cava è lunga circa 13 km ed è la più lunga valle iblea (Cavagrande del Cassibile 10 km). È in posizione collinare, a circa 300 m di altezza. In alcuni punti è profonda circa cento metri e larga più di mezzo chilometro. Il fondovalle è interamente percorribile, ma il tratto più gratificante e ricco di bellezze è la metà superiore, dalla tomba a finti pilastri di Baravitalla al Castello di Ispica. Un percorso lineare che, tra andata e ritorno, vi farà fare circa 8 km e 100 m circa di dislivello. La parte più a monte su trova in territorio di Modica, a circa 400 m s.l.m., ed è l’impluvio a coda di rondine denominato Baravitalla, quella più a valle è il Parco Forza di Ispica (120 m). Il torrente Ispica, che durante l’ultima glaciazione incise la valle, non scorre più. Riaffiora solo nei mesi particolarmente piovosi. La foce si trova lungo la spiaggia di Porto Ulisse.
Nella cava sono attestati diversi villaggi preistorici, con relative necropoli, dell’antica età del bronzo (Baravitalla, Cozzo Grotte cadute, Calicantone, Forza). Altri villaggi risalgono all’età tardo romana. I cimiteri della Larderia, del Camposanto e di S. Marco si riferiscono a gruppi sparsi di comunità cristiane.
Consigliamo di cominciare la vostra escursione dalla tomba a finti pilastri di Baravitalla (36°51?35.73”; 14°49’49.37”), una delle tombe preistoriche a prospetto monumentale più belle e significative della Sicilia. Il prospetto, leggermente concavo, è ornato da alcune lesène (finti pilastri), evidenziate dalle scanalature. Discendendo la valle, dopo circa 500 m si incontra la Grotta dei Santi, una cavità artificiale che prende il nome dalla presenza di 33 affreschi murali raffiguranti santi e vescovi. Ancora 500 m e si passa dal mulino Cavallo di Ispica. Dismesso nel 1956, è stato monumentalizzato dai proprietari, che lo mettono in in funzione per i turisti a scopo dimostrativo. È il primo di sei mulini ubicati lungo la cava e funzionava tutto l’anno. Al mulino segue un’area archeologica (36°51’00.43”; 14°50’16.46”) recintata e visitabile negli orari di apertura. È qui che si trovano le Grotte Cadute, la Spezieria, la Larderia, ed è da qui che la valle comincia a incassarsi e a presentare alberi e arbusti tipici della foresta ripale, dal platano orientale al sambuco, dal salice pedicellato al pioppo nero. Le querce sono molto meno presenti che in qualsiasi altra valle iblea. In molti punti il fondovalle è coltivato a noce, nespolo del Giappone, carrubo, olivo, lodo, melograno, arancio, mandarino.
Discendendo il fondovalle, dopo un paio di chilometri si arriva a un borgo di case in pietra in buono stato di conservazione e su più livelli. Uno di essi è un antico mulino ormai dismesso. Siamo in una zona rupestre denominata Pernamazzone, ricca di abitazioni trogloditiche abbandonate solo a partire dagli anni 50 del secolo scorso. L’ultima casa fu lasciata negli anni 70. La parte più a valle del villaggio rupestre include il cosiddetto “Castello di Ispica”. Malgrado il nome, esso non ha niente a che vedere con i castelli veri e propri. È un complesso abitativo rupestre, bizantino per Paolo Orsi, arabo secondo Aldo Messina e gli archeologi dell’ultima generazione. Si articola su 5 livelli sovrapposti, ed è completamente isolato su tre lati. La comunicazione tra i piani è garantita da tunnel a sezione circolare con appigli e pioli. Tra il penultimo e l’ultimo piano la comunicazione è consentita da un breve e alto pozzo a sezione rettangolare, munito di tacche, sul quale bisogna appoggiare una scala.
Sul ciglio destro della cava di Ispica, a 362 m s.l.m., sopra il Castello di Ispica, si trova la necropoli di Calicantone (36°50’02.95”; 14°50°35.18”), nella quale sono state censite 91 tombe a grotticella artificiale, tutte violate, risalenti al Bronzo antico. Le tombe, di cui una con padiglione a pilastri, tre con sottili lesene e una con triplice cornice, si trovano su un sistema di balze e attestano l’antica presenza di un grosso villaggio sul pianoro soprastante, oggi destinato all’agricoltura e in cui è possibile trovare materiale fittile e selce lavorata.

Itinerario dall'isola delle correnti a Porto Ulisse
Itinerario dall'isola delle correnti a Porto Ulisse

#5

Dall'isola delle correnti a Porto Ulisse

  • Isola delle correnti: Isolotto calcareo di 24 ettari che fa da spartiacque tra il mar Ionio e il mar Mediterraneo.
  • Spiagge dorate: Procedendo verso ovest, si giunge a  una serie di spiagge luminose e dorate, con un mare dalla trasparenza sorprendente.
  • Pantani Longarini e Cuba: Forti attrazioni naturalistiche in quanto vi sostano migliaia di uccelli.
  • Porto Ulisse: Luogo leggendario dove approdò Ulisse durante il suo errare per il Mar Mediterraneo.

Per maggiori informazioni visita naturasicula.it

È una escursione costiera di 10 km circa (20 se si fa andata e ritorno), al confine tra i territori di Pachino (SR) e Ispica (RG). Da Punta delle Correnti al Porto Ulisse la continuità delle larghe spiagge dorate è intervallata solo da tre promontori rocciosi di tenere marne: Punta Castellazzo, Punta Grotticelle, Punta delle Formiche. In contrada Concerie l’erosione ha trasformato le marne in falesie, grotte e archi dalle forme originali e suggestive.
Storicamente, il litorale ispicese e pachinese è ricordato come quello in cui iniziarono a sbarcare il 9 luglio del 1943 le truppe alleate inglesi, dando inizio alla liberazione dell’Europa.
Il percorso inizia inevitabilmente dall’Isola delle Correnti (36°38’45.88”; 15°04’40.61”), un isolotto calcareo di 24 ettari che fa da spartiacque tra il mar Ionio e il mar Mediterraneo. Raggiunge un’altezza massima di 9 m e dista poco meno di 100 dalla costa siciliana, alla quale è stata ripetutamente collegata tramite una passerella in cemento. Realizzata già nella seconda metà del XIX secolo per facilitare l’accesso al faro (ormai automatizzato), la passerella è stata distrutta in alcuni punti dalle mareggiate, ma d’estate si può procedere benissimo a piedi in quanto l’isolotto è separato dalla costa siciliana da un braccio di mare profondo circa 1 metro. Di proprietà del Demanio dello Stato, l’isolotto è Zona Speciale di Conservazione denominata “Isola Correnti, Pantani di Punta Pilieri, Chiusa dell’Alga e Parrino”. L’area è ulteriormente vincolata in quanto inserita nel Piano Regionale delle Riserve. L’ottocentesco faro presenta alla base alcune costruzioni che furono gli alloggi dei faristi. Un altro edificio, posto a nord-ovest del faro, era un tempo adibito a forno. Per le sue modeste dimensioni e la ridotta distanza dalla terraferma, l’isola rappresenta prevalentemente un punto di sosta per gli uccelli che si foraggiano sull’isola maggiore.
Dall’isola, procedendo verso ovest, si attraversano una serie di spiagge luminose e dorate, con un mare dalla trasparenza sorprendente nei cui fondali si trovano estese praterie di Posidonia oceanica, cartine di tornasole di mari puliti e ossigenati. Sul retrospiaggia dominano la scena le dune, straordinari e rari ecosistemi costituiti da palle di mare stratificate a sabbia. Sulle dune, alte fino a 4-5 m, vive molta vegetazione psammofila o più genericamente alofila, come il giglio di mare, il ginepro coccolone, l’efedra fragile. Nemici delle dune sono indubbiamente strade, villette e lidi attrezzati.
Qui le spiagge sono lunghe e larghe. Sia ben chiaro però che, escludendo quella davanti all’isola, le enormi spiagge di Marza, Granelli e Costa dell’Ambra non sono per chi preferisce la natura adattata all’uomo e le comodità dei lidi attrezzati, ma per chi ama il profumo e la musica del mare, gli spazi liberi, la sabbia dorata che ricorda i colori del deserto, l’acqua cristallina di un verde profondo, la salsedine sulla pelle, i fenicotteri in volo.
A nord della scogliera di Punta della Formiche si incontrano una decina vasche rettangolari, scavate nella roccia, che fanno parte di un’antica conceria, ormai semi erosa dal mare.
La spiaggia più occidentale è quella di Marza, il cui confine con la confinante spiaggia di Granelli è rappresentato dalla foce del torrente Favara (quello che ha eroso la Cava Ispica per intenderci), spesso in secca, e le cui acque alimentano le naturali depressioni dell’entroterra, cioè il pantano Longarini, tagliato in due dalla Strada Provinciale 44, e il pantano Cuba. Queste zone umide sono una forte attrazione naturalistica in quanto vi sostano migliaia di uccelli. Il complesso di pantani è prossimo a diventare riserva naturale: una parte di esso è stato acquistato da una fondazione tedesca senza fini di lucro che, ove possibile, sta sopperendo al ritardo normativo. I pantani Cuba e Longarini formano il nucleo principale di un complesso di zone umide costiere che si estende lungo il litorale tra Ispica, Pachino e Marzamemi e ne costituiscono la porzione più ampia e rappresentativa dei vari habitat ed ecosistemi. Costituiscono il primo approdo per moltissime specie di uccelli migratori che utilizzano la rotta del Mediterraneo centrale durante gli spostamenti tra Africa e Europa: un importantissimo luogo di sosta e nidificazione. Territorio storicamente oggetto di caccia indiscriminata e bracconaggio feroce, questo lembo di Sicilia ospita alcune specie rare, tra cui la Moretta tabaccata e l’Anatra marmorizzata. Durante il corso dell’anno, offre condizioni ideali per la sosta, il nutrimento e la riproduzione di un numero incredibile di specie animali: oltre 250 specie di uccelli, ma anche 21 specie di Libellule, e centinaia di specie di insetti.
La baia che qui si viene a creare è denominato Porto Ulisse. Citata da Cicerone, Plinio e Tolomeo, la baia di Porto Ulisse è rinomata in quanto luogo leggendario in cui approdò l’eroe omerico durante il suo errare per il Mar Mediterraneo. Costituita da un’insenatura sabbiosa, è delimitata dal promontorio roccioso di Punta Castellazzo, dove anticamente fu costruita una grande fortezza a difesa dell’entroterra e del porto. Gli archeologi vi hanno identificato Apolline, una stazione romana in cui era possibile tirare a secco le imbarcazioni. Diversi i reperti trovati, tra cui frammenti insabbiati di una nave bizantina del VI secolo, rinvenuta nel 1960 a circa 500 metri dalla costa. In epoca romana e bizantina l’approdo di Porto Ulisse fu uno scalo commerciale sulle rotte dalla Grecia e dall’Egitto verso Roma.

Da Marzamemi a Vendicari, Case Cittadella, necropoli
Da Marzamemi a Vendicari, Case Cittadella, necropoli

#6

Da Marzamemi a Vendicari

  • Spinazza: Si parte dalla spiaggia della Spinazza a Marzamemi in un sentiero alternato tra spiagge e scogliere.
  • Area archeologica: Alle spalle delle Case Cittadella inizia un sentiero che conduce all’area archeologica, ove vi sono i resti di una città bizantina del V-VI sec. d.C.
  • Le dune: Il Ginepro emerge dalle dune e trova condizioni di vita favorevoli verso l’interno.

Per maggiori informazioni visita naturasicula.it

Privo di dislivello, il percorso è costiero e mette in connessione il borgo di Marzamemi con la parte sud della riserva naturale di Vendicari, quella interessata dai resti di una cittadella bizantina e da una bellissima spiaggia di sabbia dorata in cui nidifica la tartaruga marina Caretta caretta. Il sentiero di sola andata è lungo 7 chilometri; a causa delle alte temperature, consigliamo di percorrerlo dall’autunno alla primavera. Si inizia da Marzamemi, dalla lunga spiaggia della Spinazza (36°44’40.29”; 15°06’51.51”) in cui spesso si trovano grandi depositi di Posidonia oceanica che rallentano l’erosione costiera e che garantiscono acque limpide e ben ossigenate. Il sentiero è un’alternanza di spiagge e scogliere. La prima fascia parallela alla linea di costa è inizialmente libera da vegetazione, poi si impiantano poche specie alofile (amiche del sale) e/o psammofile (amiche della sabbia) del cosiddetto “cakileto”. Si tratta di specie con lunghe radici per raggiungere l’umidità sottostante, provviste di spine o con foglie grasse o coperte di fitta peluria, quali il Ravastrello marittimo, la Violaciocca, il Fiordaliso delle spiagge, l’Erba medica marina, la Carota spinosa, la Calcatreppola marittima, e l’Euforbia marittima. Quest’ultima spesso ha le foglie bucate dalla larva della Sfinge dell’Euforbia.
D’estate la spiaggia di contrada S. Lorenzo è occupata dagli ombrelloni e dai lettini di alcuni lidi attrezzati, il che consente di attraversare la spiaggia senza poter sostare. Tra la spiaggia della Spinazza e quella di S. Lorenzo è compresa la scogliera di Punta Bove Marino, il cui nome ricorda che in passato il mare antistante era frequentato dalla foca monaca. La spiaggia di S. Lorenzo termina circa un chilometro dopo quando incontra la scogliera di Costa Reitani. Al centro della costa si apre una caletta a forma di ferro di cavallo (36°46’22.19”; 15°05’53.61”) con una piccola spiaggia di sabbia grigia. Le acque sono poco profonde, adatte ai bambini.
L’entroterra è occupato in gran parte da seconde case, molte appartenenti al cosiddetto villaggio turistico S. Lorenzo, trasformato poi in condominio. La vocazione agricola è quella della produzione di meloni e angurie, sia in serra che all’aperto.
Giunti nell’area di riserva, sul rilievo prossimo alla spiaggia, si scorge un grande edificio rurale a elle. Sono le Case Cittadella (36°46’42.29”; 15°05’35.80”). Da un lato le ex abitazioni trasformate in foresteria e garage, dall’altro l’ex palmento adattato a sala conferenza e museo del vino. Nell’angolo, una torretta destinata al servizio antincendio. Un grande baglio con pozzo centrale domina la scena esterna. Il piano di campagna, ricoperto in primavera di fiori cartacei viola, quelli della Statice sinuata (Limonium sinuatum), è in leggera pendenza fino a una balza rocciosa da cui si gode un belvedere mozzafiato che spazia dalle Montagne d’Avola al borgo di Marzamemi. Alle spalle delle Case Cittadella inizia un sentiero che conduce all’area archeologica, ove vi sono i resti di una città bizantina del V-VI sec. d.C. Della piccola città, sono rimaste una chiesa (la Trigona), le parti basamentali di alcune povere case e i sepolcri. Ai due lati della Trigona sono addossate altre costruzioni di un secolo fa. In merito alla necropoli, la piccola città mostra tre tipi di sepolture, ancora evidenti: catacombe, sepolcri a edicola e tombe a fossa. Le catacombe visitabili sono tre, una accanto all’altra e si incontrano andando dalla Trigona verso l’uscita della riserva, seguendo i segnali turistici. Scavate nella roccia, contengono diversi sarcofagi distribuiti dentro arcosoli a croce. Un po’ più a sud, scendendo di poco a sinistra, si incontrano al livello del terreno alcune semplici fosse campanate. Erano destinate al volgo. Qualche passo ancora e incontrate una tomba a edicola. In origine coperta da una volta a botte, era munita di una finestra e di una porta bassissima che costringeva il visitatore ad abbassarsi ed entrare carponi. Il pavimento è occupato da due tombe a fossa.
Lungo la costa di Cittadella, i protagonisti della scena sono il Ginepro coccolone e le dune. Il Ginepro coccolone trova condizioni di vita favorevoli nella parte delle dune rivolta verso l’interno, ove viene assicurata una sufficiente protezione dall’azione del mare. Dal portamento arbustivo, talvolta leggermente prostrato, il ginepro è rappresentato da individui talora molto vecchi che, a seguito dell’insabbiamento, emergono dalla duna, ricoprendo con i loro rami l’intero rilievo. Nei punti in cui il Ginepro ricopre interamente la parte delle dune rivolte verso il mare, le specie alofile e psammofile regrediscono. Per l’altezza e per la robustezza raggiunte, il ginepreto di Cittadella è stato dichiarato monumentale in quanto rappresenta una condizione botanica rara.

Pantani Cuba Longarini
Pantani Cuba Longarini

#7

Natura “Pantani Cuba e Longarini”

  • Durata: variabile, a seconda della disponibilità di tempo del visitatore e alla stagione (da 3 ore all’intera giornata). Percorsi semplici e pianeggianti.
  • Rivolto a: appassionati di natura, birdwatchers, fotografi naturalisti.
  • Guida: Italiano, Inglese.
  • Prenotazione: minimo due giorni di anticipo al 3312298636 – 3663644611 – [email protected][email protected]

Per maggiori informazioni visita naturasicula.it

I pantani Bruno e Longarini si trovano nell’estremità meridionale del territorio comunale di Ispica e sono dei laghi di acqua salmastra separati dal mare soltanto da dune di sabbia. Sono habitat per la macchia mediterranea e ospitano la sosta degli uccelli in migrazione, quali gallinelle d’acqua e germani reali ed altri. In base alle stagioni è possibile osservare il fiscione turco, i forapaglie, i migliarini di palude e i cannareccioni e talvolta esemplari di aironi, cicogne e fenicotteri.
Alla scoperta dello spettacolo di varietà di forme e colori offerto dalla biodiversità all’interno della riserva privata “Pantani Cuba e Longarini”. Guide esperte vi accompagneranno con mezzi ottici adeguati a osservare Fenicotteri, Aironi, Cicogne e le altre specie di uccelli tra le oltre 240 che frequentano l’area, oltre a orchidee selvatiche, farfalle, libellule e molto altro: un’esperienza esclusiva all’interno di una delle zone umide piu’ importanti della Sicilia per la migrazione degli uccelli.